Aprile 4, 2022 Irene Ivoi

Fare una spesa attenta senza diventare EROI

Una curiosa sequenza di notizie passate sotto i miei occhi nelle ultime settimane mi conduce ad una riflessione sul ruolo di chi vende nel proporre prodotti e servizi sostenibili.

Quando iniziai a proporre, oltre venti anni fa, per conto di pubbliche amministrazioni e associazioni ambientaliste, azioni virtuose alle sigle della GDO per giungere ad accordi sui territori le prime reazioni erano dir poco tiepide.

La posizione che rivestivo era scomoda, trattare con questi stakeholder che guadagnavano potere a vista d’occhio (sempre più cittadini abbandonavano gli esercizi al dettaglio) ed erano diventati pozzi di liquidità, era davvero complicato.

Perché le leve per traghettarli verso soluzioni tese ad evitare rifiuti erano scarse: i consumatori, quindi i loro clienti, erano molto meno attenti e pronti degli attuali verso quei messaggi da me interpretati.

In sostanza: io, e i miei punti di riferimenti, eravamo troppo avanti.

Ma nel decennio scorso quelle idee sono state assorbite da molti attori della GDO che le hanno fatte proprie, e hanno così potuto diventare attori chiave sui territori per i propri clienti e comunità, superando per intraprendenza e coraggio molte pubbliche amministrazioni incapaci di guizzi e visione.

I punti vendita sono riusciti cioè ad essere luoghi dove non si andava solo a fare la spesa bensì dove si catalizzavano attenzioni, si producevano e diffondevano messaggi, contenuti, valori, storie.

Bel segnale? Sì …… anche se è un peccato aver assistito nel frattempo a policy maker così distratti.

Veniamo ad oggi: il ruolo dei distributori sta assumendo caratteristiche sempre più complesse e oggi vengono chiamati inevitabilmente ad affiancare le pubbliche autorità nel traghettare i cittadini verso comportamenti più virtuosi e anche nel facilitare l’attuazione di sperimentazioni, per es. il vuoto a rendere o alcune raccolte selettive di rifiuti presenti -e non- nelle raccolte urbane.

Poche settimane fa, ho riportato in Diario di Nudge l’esperienza Vivogreen a Terni, che resta un capitolo particolarmente originale.

Oggi mi chiedo e vi chiedo se questi attori, pungolati o no dalle pubbliche amministrazioni, potrebbero mettere in atto anche delle spinte gentili per facilitare determinati consumi o evitare sprechi e quindi suggerire spese intelligenti e misurate.

E visto l’affollamento attuale di prodotti che si dichiarano green, un primo step consisterà necessariamente nel definire criteri per valutarli e conseguenti valutazioni a seguire (ma su questo fanno già capolino alcune esperienze che possono aiutare quali Mugo retail o il caso Oda in Norvegia).

Ciò che però poi serve per trasferire queste informazioni ai clienti è un vasto terreno di gioco, perché sappiamo che, senza salienza emozionale, le migliori informazioni non modificano i comportamenti. Cioè non esiste una relazione causale tra conoscenza e azione.

Ecco che qui agendo su bias opportuni serve inventarsi delle coinvolgenti narrazioni.

In anni passati sono stati condotti anche degli esperimenti inserendo sugli scaffali delle informazioni puntuali, in corrispondenza di alcuni prodotti. Gli scaffali però oggi sono intasati sempre più da grafiche che confondono, per cui, a mio avviso, i dati faticano ad emergere dalla palude informativa.

Serve inventarsi altro!

Il nudge non è un bacchetta magica per ogni problema ma in questo caso, a condizione che ci si ponga un obiettivo chiaro, qualche spunto, proveniente dalla sua teoria, può aiutare: per es. un’analisi comportamentale dei clienti per dare forma e sostanza al contesto decisionale (barriere  al cambiamento, fattori che lo aiuterebbero, ecc), e poi scegliere dei bias (ricordiamoci il coraggioso caso Edeka) con cui operare, identificare e programmare i contenuti più adatti onde evitare minestroni (meno dici e spesso meglio è), agire per cluster, immaginare dei contest (attivando la norma sociale), lavorare sulla narrazione e sulla sintesi.

Noi consumatori, cittadini, non siamo eroi. Nella nostra normalità, ricca di complicazioni e difficoltà, abbiamo bisogno di semplificazioni, di facilitazioni che ci traghettino verso consumi migliori.

Nudge è anche questo ed esplorarne le potenzialità in quest’area la considero una prova sfidante.

 

Thanks photo by The Blowup

Irene Ivoi

Mi sono laureata in industrial design con una tesi di economia circolare nel 1992. L’economia circolare in quel tempo non esisteva ma le ragioni per cui avrebbe dovuto esistere mi erano chiarissime. E per fortuna sono state la mia stella polare. Da sempre progetto strategie, comunicazioni, azioni, comportamenti ispirati ad un vivere più ricco di buon senso e con meno rifiuti.