Ottobre 25, 2022 Irene Ivoi

Usciamo dal disordine per gestire meglio i nostri beni/rifiuti

In questo articolo parliamo di abbandono di beni (abiti in primis) da gestire con qualche strumento in più. Perché no?

Poi con il cambio di stagione, il tema diventa super attuale e credo abbia un oceano di connessioni con i comportamenti e l’agire.

E così tra rifiuti tessili da raccogliere differenziatamente, abiti usati e negozi vintage che crescono, centri del riuso e di preparazione per il riutilizzo che devono necessariamente aumentare (lo dice il PNRR, i piani regionali di gestione dei rifiuti e la strategia nazionale per l’economia circolare) mi resta l’immensa domanda del come favorire anche con tecniche nudge una massimizzazione del recupero e un allungamento della durata di vita di ciò che sta nelle nostre case.

Perché tutto nasce lì.

Almeno finché si parla di persone che vivono in urbe e si confrontano con i rifiuti domestici.

Le nostre case infatti si trasformano troppo spesso in obitori di ciò da cui non riusciamo a separarci (della serie: può tornare buono!!), che non riusciamo a seppellire.

Per seppellire non intendo gettare bensì ri-destinare perché è questo che allunga la durata di vita della materia e ne massimizza il recupero.

Se resta nei ripostigli serve a poco e poi un giorno, quando non si ha tempo per trovare soluzioni migliori, rischia di diventare rifiuto senza appello. E a riguardo di case=obitori i recenti dati Ipsos per Erion fanno riflettere.

 

Ma per ri-destinare serve anche riappacificare l’anima, cioè imparare a fare i conti con la percezione emotiva che ci lega a ciò che non riusciamo ad abbandonare.

Quando l’anima trova pace diventa più semplice fare ordine nei nostri armadi e vivere anche meglio.

Quindi qual è la medicina dell’anima?

Non sono un medico ma provo a fare delle ipotesi e tra queste in primis confido nella necessità di costruire un frame diverso per raccontare e attuare la ridestinazione (anche questo è nudge) e poi qualche spinta gentile per tenere in ordine la nostra vita materiale.

È così che ho conosciuto Elena Dossi che dal 2014 ha fatto della sua capacità di costruire ordine il suo lavoro: Elena aiuta i suoi clienti a gestire al meglio i propri armadi, ma anche i ripostigli e sgabuzzini, aiutandoli a riorganizzare questi spazi.

Il suo compito è mai coercitivo ma solo di aiuto alla costruzione di nuove riflessioni individuali su tempo, risorse ed energie fisiche e mentali necessarie a convivere con gli oggetti che si accumulano senza criterio.

Darsi dei criteri, farsi delle domande nuove, mappare diversamente le priorità individuali, fare redesign mentale dell’attenzione, chiedersi quanto tempo e quante energie mi costa il disordine riesce a generare ordine.

Quindi nasce un nuovo agire.

Ecco il nudge che fa capolino perché siamo nel perimetro dei nuovi comportamenti, da attivare senza obbligo ma attraverso un reframe del proprio pensiero nonché approccio, che si traduce in un reframe del proprio habitat.

Ed è abbastanza raro che poi i suoi clienti tornino indietro, cioè ricaschino nel disordine.

L’ordine può diventare contagioso?

Diciamo che l’ordine si può insegnare e quindi ispirare.

Ed è questo il vero goal.

Tutto ciò ha poi delle inevitabili ma anche legittime connessioni con il restorative design e la cura dell’abitare. Elena Dossi infatti collabora con MeM (Mind Emotion Movement), piattaforma di professionisti che credono nell’importanza dello spazio abitativo e della sua cura per migliorare il benessere psicofisico delle persone.

Su questa piattaforma sono disponibili anche dei corsi online che periodicamente vengono calendarizzati.

Un’altra implicazione del suo lavoro è anche l’educazione ai consumi, talvolta compulsivi e quindi correggibili.

Stiamo quindi parlando di due temi in cascata molto impegnativi e generatori di sostanziose riflessioni poiché il suo lavoro è uno dei mezzi con cui si può agire nel perimetro dell’economia circolare visto che insiste sulla cura dei beni, su educazione ai consumi e sul  destino dell’ usato. Non a caso io ed Elena ci stiamo facendo nuove domande perché ravvediamo in tutto ciò un mezzo in più per ridisegnare la scacchiera su cui si è operato finora, introducendo nuovi spunti da sviluppare.

STAY TUNE

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Irene Ivoi

Mi sono laureata in industrial design con una tesi di economia circolare nel 1992. L’economia circolare in quel tempo non esisteva ma le ragioni per cui avrebbe dovuto esistere mi erano chiarissime. E per fortuna sono state la mia stella polare. Da sempre progetto strategie, comunicazioni, azioni, comportamenti ispirati ad un vivere più ricco di buon senso e con meno rifiuti.