Dicembre 9, 2022 Irene Ivoi

Riutilizzo in attesa di futuro

Quante curiose sollecitazioni nelle ultime settimane mi sono passate sotto gli occhi a proposito di riutilizzo. Le ho custodite, in modo un po’ disordinato, in attesa di digerirle e trasformarle in una riflessione.
Adesso provo ad impaginarle sperando di restituirvi un senso.

1. Riutilizzo di oggetti, vestiti, mobili: quando merci di questo genere arrivano nella mente di chi li possiede al capolinea, tanti si sbracciano per promuovere cessioni di quel bene vantaggiose per altri. L’obiettivo è non farli diventare rifiuto = PREVENZIONE. Che si traduce in “ALLUNGAGLI LA VITA”. Su questo asset nascono centri del riuso voluti e finanziati dalle pubbliche amministrazioni (tante Regioni li sostengono con incentivi economici) e attività pro riutilizzo volute da cooperative sociali o associazioni che da qui traggono economia solidale. Pochi però ancora riescono a far diventare economia, altrettanto intelligente, tutte quelle azioni che precedono la cessione di un bene. Sto parlando di tutto quello che si può fare per allungare la durata di vita di ciò che sta nelle nostre case e che risponde al verbo PRENDERSI CURA. Che si traduce quindi in manutenzione, igiene, riparazione, noleggio, miglioramento (upcycling) quando un bene ci ha annoiati e chiede un rinnovamento. Queste attività risiedono in un perimetro pre-abbandono e chiedono tempo e attenzione per essere agite e, a mio avviso, sono fondamentali per poi attivare un abbandono più intelligente.

2. Riutilizzo di contenitori. Da diversi mesi osservo il nascere (e i tentativi di crescita) di società con l’obiettivo di vendere servizi di riutilizzo di contenitori per cibi e bevande. Quindi evitare di usare imballaggi monouso per trasferire cibo da A a B. Trovo interessantissimo il purpose poiché impensabile fino a pochissimi anni fa.

Ma Chi provava a discutere l’impiego di un monouso per portare un cibo pronto dalla rosticceria a casa? Non ci si faceva neppure la domanda. Nel gennaio del 2017 ho trascorso un intero week-end in un brain storming attivo con due designer nell’ immaginare il redesign del riutilizzo per un’azienda italiana, finita nel dimenticatoio, che faceva e fa contenitori riutilizzabili. Non c’è stato verso di traghettarli verso questo nuovo paradigma. A noi era chiarissimo il futuro che ci attendeva, ma il problema era che era chiarissimo SOLO a noi (ancora una volta eravamo troppo in anticipo e questo comporta insuccesso garantito). Oggi contenitori riutilizzabili di cibi e bevande iniziano a fare capolino, specie nelle grandi città europee (in Italia quasi solo a Milano). È un mondo in trasformazione all’insegna di una rinnovata attenzione al Riutilizzo.

3. Riutilizzo di imballaggi: il recente Regolamento della commissione UE ha affollato pagine inchiostrate e online nelle ultime settimane. Non esprimo giudizi su un testo che non è legge (ancora) ma ne deduco che una delle direzioni più tangibili e non equivocabili esiste: è necessario un loro re-design  per renderli capaci di riutilizzo, oltre che riciclo. È una sfida non semplice visto che negli ultimi 40 anni si è fatto di tutto (con successo) per evitare il riutilizzo ma pare che una delle azioni più profittevoli per immettere meno materia in circolazione (meno rifiuti) sia riutilizzare (non solo riciclare) quanto più possibile ciò che c’è. E anche se gli impatti ambientali possono essere oggetto di posizioni tecniche e politiche differenti, finché smaltire i rifiuti si misura in tonnellate di materia, e non di CO2, è la materia che va ridotta. E a riguardo del redesign del riutilizzo non posso non citare una piccola prima esposizione, curata dall’ associazione Giacimenti urbani, che nell’ambito del loro annuale ultimo festival, ha debuttato in Cascina Cuccagna. E Giacimenti urbani ha anche sottoscritto un manifesto per il riutilizzo che mi porta all’ultimo anello di questa storia.

4. Il manifesto pro riutilizzo di ANCI Emilia Romagna che esce da una battaglia di pancia contro la plastica e punta ad immaginare modelli di riutilizzo a cui tendere senza incaponirsi su singoli materiali da salvare o bocciare. Ed a questo principio che si ispira anche la delibera di Giunta regionale n° 889 del 6 giugno 2022Strategia #PlasticFreER: approvazione dei report dei gruppi di lavoro della cabina di regia e del relativo documento di sintesi” che, approvando i documenti della Cabina di regia prevista dall’Azione n. 1 della strategia “Plastic-FreER”, sceglie di privilegiare prodotti riutilizzabili. E abbandona così una guerra contro la plastica per ispirare le proprie politiche, anche di incentivazione economica, verso il riutilizzo.

L’elenco di segnali e piccole storie non finisce qui, qui finisce la mia elencazione di oggi. Per arrivare a chiedermi adesso Che cosa serve perché il riutilizzo di merci, oggetti, vestiti, contenitori e imballaggi funzioni?

Cosa deve andare in scena affinché il riutilizzo diventi un principio ispiratore per consumare e vivere in modo diverso?

Deve andare in onda la nostra attenzione e anche il nostro tempo.

Senza comportamenti attenti e accurati, il riutilizzo andrà poco lontano.

Perché, attenzione, finora il NON riutilizzo è progredito perché si è nutrito della nostra pigrizia e indomabile distrazione. La questione si fa densa e mi porta a dire che il riutilizzo va progettato, servono sistemi e narrazioni che facilitino la sua scelta.

Sono importanti tanto quanto progettare tecnologie e soluzioni.

A questo il nudge può dare un contributo aggiuntivo, che si somma a divieti e sanzioni come voi sapete.

È ovvio che riutilizzare un contenitore o un imballaggio è cosa diversa che destinare a riutilizzo vestiti o divani; nel secondo caso entrano in gioco componenti emotive e affettive da considerare. Quindi attenzione alle mappe delle motivazioni funzionali e non funzionali che entrano in gioco e agli stakeholder anche nuovi da coinvolgere.

La sfida è aperta…e nei prossimi mesi continueremo a parlarne.

 

NB. l’immagine è una mia foto di un frammento di un tessuto di tappezzeria trasformato in una tovaglietta

Irene Ivoi

Mi sono laureata in industrial design con una tesi di economia circolare nel 1992. L’economia circolare in quel tempo non esisteva ma le ragioni per cui avrebbe dovuto esistere mi erano chiarissime. E per fortuna sono state la mia stella polare. Da sempre progetto strategie, comunicazioni, azioni, comportamenti ispirati ad un vivere più ricco di buon senso e con meno rifiuti.